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L'intervista immaginaria

L'intervista immaginaria: Intervista a un giocatore che non c'è

Dopo tante interviste reali, apriamo una parentesi e tentiamo un esperimento ardito: un'intervista immaginaria, a un giocatore che non c'è.

L'idea è venuta proprio... al nostro immaginario.

- "E' vero", attacca il giocatore che non c'è. "Ho letto le interviste reali, e mi sono piaciute. Ma chi l'ha detto che solo i giocatori reali possono parlare? Anche noi, poveri giocatori inesistenti, che esistiamo solo nella fantasia di qualche sognatore, abbiamo il diritto di parlare. Pretendiamo il nostro spazio anche noi."

Ok, ok, non ti arrabbiare. Hai ragione. Con questa intervista poniamo rimedio. Cominciamo con le domande allora. Da quanto tempo giochi a hockey?

- "Non iniziamo con le domande trabocchetto. Se non esisto, come posso dirti da quanti anni gioco? Da mai, e da sempre. A seconda di come mi immaginate voi, posso essere uno juniores alle prime armi o un veterano con numerose stagioni alle spalle. Non importa quello che hai fatto. Importa quello che ci metti quando lo fai."

E tu, cosa ci metti?

- "Passione, grinta, determinazione. Voglia di migliorare. E, se possibile, far migliorare. Il campo è uno specchio della vita. Quello che sei dentro, sei fuori. E viceversa."

Cosa intendi con "far migliorare"?

- "Trasmettere quello che ricevi. Quando inizi, hai tutto da imparare. Dopo un po', ti accorgi che qualcuno sotto di te può imparare da te. E' in quel momento che, se c'è vera passione, scatta la voglia di fare qualcosa di buono per gli altri. Se non ti viene in mente di dire "grazie" a chi ti ha insegnato qualcosa, non è grave. Il ringraziamento migliore è trasmettere ad altri gli insegnamenti ricevuti. Vuol dire averli apprezzati davvero, a tal punto da volerli condividere."

Scusa, ma tutto questo suona un po' ecumenico. Alla fine stiamo parlando di sport, cioè di un gioco. E di sport agonistico: dove la cosa più importante di tutte dovrebbe essere vincere. O no?

- "Hai ragione, c'è anche quell'aspetto. Non lo nego. Ma dobbiamo intenderci sulle parole: se con vincere intendiamo voler sopraffare a tutti i costi l'avversario, questo non è sport. Lo sport vero, quello pulito, è soprattutto una lotta contro se stessi. Vinci quando superi i tuoi limiti e ti migliori, dentro e fuori. Se poi, con questo, riesci a battere anche il tuo avversario, questo è un di più. In questo senso dico che il campo è una palestra della vita: ciò che ci metti dentro, ci metti fuori. Il campo non tradisce."

Anche perché vince soltanto uno, il primo. Gli altri, tutti sconfitti?

- "Appunto. Anche chi vince in realtà ha perso, se vince male. E anche chi perde in realtà ha vinto se, pur perdendo, supera le proprie possibilità."

Qualche esempio?

- "Due esempi, uno lontano e uno vicino. Alle finali under 18 di Suelli di qualche anno fa non abbiamo vinto lo scudetto: siamo arrivati quarti su sei. Ma abbiamo vinto con noi stessi: abbiamo dato e ottenuto il massimo possibile. E alle recenti finali promozione di serie B, avevamo vinto prima ancora di partecipare. Il successo è stato arrivarci."

Però, non sempre va tutto per il verso giusto. Come si comporta il giocatore immaginario di fronte alle avversità?

- "Come si comporta non lo so, dipende da come mi immaginate voi. E ognuno di voi mi immagina secondo quelli che sono i suoi modelli, giusti o sbagliati che siano. Ti posso dire come vorrei essere immaginato (ma come, ahimé, vengo immaginato pochissimo, e sempre di meno): come uno che le avversità se le mangia a colazione. Le utilizza come spunti di miglioramento. Senza ostacoli, non si cresce. Chi ha paura degli ostacoli, ha paura di vivere. Non sarà mai un vincente. Nello sport, come nella vita."

Non tutti, però, giocano leale. Il giocatore immaginario, di fronte alle scorrettezze, che fa?

- "Non perde di vista i suoi valori. Non li rinnega nemmeno per un minuto. Fa quello che ritiene giusto fare, anche se ciò dovesse andare contro di sé o contro la sua squadra. Il giocatore immaginario non esiste nella realtà, ma tutte le mattine si guarda allo specchio, come fate voi giocatori reali. Guardarsi negli occhi, non vergognarsi di niente, ma al contrario andare fieri di quello che si è fatto, anche se ne sono scaturite sconfitte, è la vittoria più bella. Tenendo bene a mente il motto degli hidalgos spagnoli: "La sconfitta è il blasone delle anime nobili".

Sì, ma sbagliamo tutti, non solo le anime nobili. Noi giocatori reali sbagliamo spesso e volentieri. Voi giocatori immaginari non sbagliate mai?

- "Scherzi? Sbagliamo anche più di voi, perché la fantasia non ha i confini della realtà, che limita anche gli errori. Sbagliamo, certo che sbagliamo. Ma sai cosa ti dico? Non importa sbagliare. Importa la buona fede. Se ci metti quella, andrai fiero anche dei tuoi errori."

Sarà. Un vecchio detto dice: "Le strade dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni". Come la mettiamo?

- "Se restano tali, cioè intenzioni, siamo d'accordo. Ma il giocatore immaginario cerca sempre, tutti i giorni, di trasformarle in realtà. Sono i giocatori reali che invece, spesso, si fermano alle intenzioni!"

Un curioso contrappasso. Ma forse c'è del vero. Quello che però a volte succede, è che la buona fede non viene riconosciuta.

- "Questo succede spesso, perché voi hockeisti reali siete sospettosissimi! Ma se non c'è il riconoscimento della buona fede, non c'è gruppo. E se non c'è gruppo, non c'è squadra."

Ah, perché, anche voi giocatori immaginari avete la vostra squadra immaginaria, magari con l'allenatore immaginario e il dirigente immaginario?

- "Certo che sì. Siamo immaginari, ma la realtà la vediamo bene. Anche noi facciamo gruppo, abbiamo un allenatore e un dirigente. Tutti immaginari, si intende."

E com'è il gruppo immaginario?

- "Il gruppo immaginario è come un quadrato. Unito, compatto. Non esiste "io". Esiste solo "noi". L'autoironia è bandita, perché sgretola l'unità del gruppo. Quando un compagno sbaglia, il gruppo immaginario gli dice: "Dài, è lo stesso. Forza!". Quando un compagno salta un allenamento, si sente in colpa, chiede scusa ai compagni e spiega il motivo dell'assenza all'allenatore. Quando l'assente non si fa vivo, sono i compagni a chiedergli cosa sia successo."

E l'allenatore immaginario, com'è?

- "E' seguito dal gruppo, perché rispettato. Rispettato perché stimato, e non perché odiato. Se ti fai rispettare dall'odio, sotto sotto sei un debole. L'allenatore immaginario detta poche regole, ma le fa rispettare sempre. L'impulsività non esiste: il bravo allenatore immaginario è un freddo calcolatore. Troppo spesso invece vedo allenatori reali che sbraitano, si inventano mille regole nuove, che non fanno rispettare mai. Ne viene meno la fiducia. Resta solo la paura, con cui non si costruisce niente. L'allenatore immaginario vuole un gruppo unito, non diviso. Il bravo allenatore immaginario, infine, sa parlare ma sa anche ascoltare. Se non sai ascoltare, non saprai mai farti ascoltare veramente."

E il dirigente immaginario?

- "Il dirigente immaginario, così come il capitano immaginario, rema nella direzione stabilita dall'allenatore e dal presidente. Sempre. Quando non è d'accordo, scende dalla barca e fa remare altri. Ma dentro la barca, si assicura che il gruppo e l'allenatore mantengano unità di intenti. Davanti ai giocatori, difende le scelte dell'allenatore. E davanti all'allenatore, porta le istanze dei giocatori."

Esiste anche un presidente immaginario?

- "Certo che sì. Il presidente immaginario assegna i compiti all'equipaggio, e si assicura che tutti remino nella stessa direzione. Quando ci sono problemi si fa raccontare da loro cosa sia successo, e in ogni caso difende sempre il suo equipaggio verso l'esterno. Un presidente che non fa così, lavora contro la sua squadra. E la squadra, se è veramente tale, un presidente così lo butta a mare, se può. O cambia barca, altrimenti."

Un quadro troppo bello per essere vero. Infatti, è immaginario.

- "Sì, è immaginario. Ma solo se diventa reale, una squadra diventa una squadra. Altrimenti, rimane quello che è: il rimpianto di una squadra."

Abbiamo cominciato con buoni sentimenti, e stiamo concludendo con amarezza. Più che immaginario, mi sembri uno che ne ha vissute, e subite, tante.

- "E' proprio in casi come questi che dobbiamo trovare la forza per andare avanti. Quando la realtà non ci piace, dobbiamo immaginarcene una diversa. Non per fuggire. Ma, al contrario, per lottare. La realtà si può cambiare: basta immaginarsi una realtà migliore, fare gruppo con chi la immagina come noi, e lottare, con tutte le proprie forze, personali e di gruppo, per far diventare reali i nostri sogni. Non è detto che ci riusciremo. Ma soltanto provandoci, e dando tutto quello che abbiamo, potremo guardarci negli occhi al mattino. Se faremo così, forse non vinceremo mai lo scudetto. Forse non andremo mai in serie A. Ma saremo uomini, e avremo vinto la battaglia più importante."

Grazie, giocatore che non c'è. Un'ultima domanda: ma tu sei immaginario, o ci sei veramente?

- "Non l'hai ancora capito? Non è importante se esisto o meno. Quello che è importante, è che cerco di essere come mi immagino. E' chi si accontenta di essere come è che, in realtà, non esiste."

Da questa intervista immaginaria, che abbiamo sognato tanti anni fa, è nato il Genova Hockey 1980. Noi questo sogno lo facciamo ancora... e proviamo a rappresentarlo, ogni giorno.


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